“«Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti» (1Ts 4,13-14).
Il beato Apostolo ci esorta a non affliggerci per coloro che dormono, vale a dire per i nostri carissimi defunti, come in genere gli altri che non hanno speranza, s’intende la speranza della risurrezione e della incorruttibilità eterna. Appunto per questo, l’uso costante e rispondente alla realtà della Scrittura li chiama anche “coloro che dormono”, e così, quando sentiamo “dormienti”, non dubitiamo che si sveglieranno, come si canta nel Salmo: Forse chi dorme non si leverà a risorgere? (cfr Sal 40,9).
Così, per i morti, in coloro che li amano c’è una specie di tristezza, in certo modo naturale. […] Inevitabilmente ci rattristiamo quando quelli che amiamo, morendo, ci lasciano. Benché infatti sappiamo che i defunti non lasciano per sempre noi che restiamo, ma che precedono alquanto noi che li seguiremo, pure quella morte, da cui la natura rifugge, quando colpisce la persona cara, affligge in noi il sentimento dell’amore stesso.
Per questo l’Apostolo non ci consiglia di non rattristarci, ma che la nostra pena non sia come quella degli altri che non hanno speranza. Rattristiamoci dunque per i nostri defunti quando inevitabilmente subiamo la separazione, ma con la speranza di riaverli vicino. In un senso siamo angosciati, nell’altro consolati; da una parte è colpita la debolezza, dall’altra si fortifica la fede; di là è nel dolore la condizione umana, di qua offre il rimedio la Promessa divina”
Sant'Agostino
(dal Discorso 172)